La brillante regia ha attinto a piene mani dalla weltanschunteatrale di Jerzy Grotowsky secondo la quale al centro del manufatto teatrale c’è l’attore e la sua capacità di entrare in empatia col testo e con lo spettatore, con costumi e scenografia appena accennati e dal forte valore simbolico. Devo dire che l’operazione è riuscita bene, i cinque attori e le loro “povere cose” hanno riempito costantemente il palcoscenico con scelte registiche quasi mai banali e qualche punta di eccellenza; in questo contesto efficace è apparso, e sapiente, l’uso dei suoni con gli strumenti presenti in palcoscenico. Una gradevole sorpresa è stato osservare la performance di Giovanna Criscuolo che ha mostrato di essere perfettamente a suo agio in un ruolo drammatico come quello di Matilde (la matrigna di Maria) e ancor più in quella di Agata (la raffigurazione presente e viva dell’epilogo mortale della scelta monacale di Maria). Due ruoli davvero difficili perché, si sa, rappresentare la cattiveria e la follia non è mai facile, eppure la Criscuolo ha reso ambedue i personaggi in maniera convincente. Nel ruolo di Agata/Maria poi, in alcuni tratti, ci ha fatto tornare alla mente l’ineguagliabile Vanessa Redgrave di zeffirelliana memoria. Davvero brava. Impeccabile nei ruoli della Sig.ra Valentini, di Marianna (l’amica del cuore di Maria) e di suor Filomena è stata Micaela De Grandi. Stilisticamente “ordinaria”, che nel mio dizionario personale di avvicina tanto al “dover essere” e alla perfezione; nessuna sbavatura, nessun errore di dizione. Un piacere vederla recitare. Infine Maria, la capinera; quella che tutti amiamo e che ci smuove le viscere, che ci mette la smania e il tarlo in capo di immaginare comunque per lei una salvezza, una via d’uscita. Ad ogni contumelia ch’ella riceve sapremmo ben noi come contrbattere, come difenderla – anche con le botte! -, ma la storia va avanti senza di noi e la rassegnazione di lei, che non può essere nostra, ci carica di dolore, di rabbia – per forza di cose – inespressi. Fino all’epilogo finale: Vae Victis, guai ai vinti. Non le sarà di aiuto l’ultima Dea, la Speranza muore con Maria, tra le mura del convento. Tramonta il sole e non s’affaccerà mai più per lei. Ora, ditemi voi, com’è possibile che un personaggio così arrendevole, così debole psichicamente, macilento nel fisico, ossequioso delle regole, incapace di opporsi al beffardo accanimento della madre e alle crudeli sopraffazioni dell’intera società in cui vive, rinunciatario fino all’annullamento di se stesso, possa essere interpretato da un’attrice sanguigna, ribelle, sovvertitrice di ogni canone etico ed estetico, innovatrice sul piano artistico, una che ama recitare il teatro proibito (Banned Theatre) e che si dipinge sovente, e con soddisfazione, una indomita combattente per le proprie idee, come Valentina Ferrante? Eppure è stato così. Valentina è stata convincente, arrendevole, debole, rinunciataria, addolorata d’un dolore cupo, sordo e senza speranza proprio come il personaggio richiede, e ciò è avvenuto perché la professionalità non è acqua e chi ce l’ha la tira fuori quando serve. Fuor di celia, nessuna sorpresa. Una vera professionista come lei può interpretare ogni ruolo non tanto per l’indubbia competenza e per l’oramai lunga esperienza, quanto per il perenne, contagioso entusiasmo che la pervade, quel Daimon che le grida dentro e le conferisce un genio personale ed artistico del tutto particolare. Genio che ella ha profuso, assieme a Micaela De Grandi, anche nella regia la quale ha mirato a non appesantire tanto il testo quanto le atmosfere e l’uso degli spazi scenici, sicché la pièce è risultata agile, gradevole all’orecchio e alla vista.
La compagnia siciliana Banned Theatre sul palco del Teatro Arcobaleno ci racconta il nostro rapporto con il potere attraverso una lettura tragicomica del Prometeo di Eschilo
In scena al Teatro Arcobaleno di Roma fino al 9 febbraio 2020, il Prometeo di Eschilo diventa una parodia del nostro presente. Sul palco, la compagnia siciliana Banned Theatre, diretta dal duo di registe Valentina Ferrante e Micaela De Grandi, presenta la tragedia di Eschilo riletta in chiave tragicomica. Con il testo rivisto da Valentina Ferrante, nell’apparente semplicità della scenografia, nulla è lasciato al caso: dopo essere entrati nello spettacolo, la rabbia, la coscienza, la delusione e il dolore del Prometeo vengono rappresentate sul palco con irriverente maestria. La voce fuori campo di Angelo Tosto introduce lo spettacolo e Adriano Aiellointerpreta il protagonista, il titano Prometeo, che rubò il fuoco a Zeus per donarlo agli uomini, diventando, per questo, vittima del ‘dio-tiranno’, che lo incatenò ad una rupe e lo fece sprofondare nel Tartaro. Così che Prometeo si trasforma, nell'immaginario collettivo, nell'avversario per antonomasia, vittima, al tempo stesso, dello strapotere di Zeus, alla cui legge si ribella in quanto simbolo della lotta per il progresso e la libertà. Eroe solitario, poeta incompreso, libero artista, portatore di civiltà e di conoscenza, Prometeo non si rassegna a rimanere servo del potere, che sopporta la sua sorte con pazienza, poiché sa che i tiranni di oggi sono, inevitabilmente, destinati a cadere domani. Il coro delle ‘Oceanine’, interpretato in modalità stereo da Valentina Ferrante, riempie il palco, accompagnando Prometeo e il pubblico lungo tutto lo spettacolo. Il multiforme Federico Fiorenza e l’intensità interpretativa di Micaela De Grandi riempiono lo spettacolo dei personaggi che Eschilo affianca a Prometeo lungo il suo viaggio interiore, fino all’esito imprevedibile del suo percorso. Le musiche sono di Luca Mauceri, i paesaggi sonori di Alessandro Aiello, i costumi di Nunzia Capano, gli rlementi di scena di Michele De Grandi, l’aiuto regia di Roberta Andronico. Uno spettacolo ‘multidisciplinare’, che non perde mai il rispetto per l’opera originale strizzando l’occhio al teatro antico, a quello partenopeo e, persino, al musical. Lo studio dei dettagli e l’attività di ricerca coinvolge il pubblico in modo diretto, portandolo quasi all’interno dello spettacolo, fino all’epilogo inaspettato. Un finale corale, che richiama le debolezze di tutti noi, facendoci riflettere sul potere, sul rapporto che abbiamo con esso, su come ci lusinga e ci influenza, su come ci lasciamo sedurre nonostante il tradimento degli ideali. Una lettura lucida e più che mai attuale della nostra società e delle nostre debolezze, sulle nostre coscienze, oltre il vestito dell’onestà. Da vedere.
Lo spettacolo si intitola “PROMETEO – Tragicommedia”, una rivisitazione in chiave moderna del lavoro di Eschilo, scritta da Valentina Ferrante. Come sappiamo, la mitologia fu costante fonte di ispirazione per i drammaturghi classici di lingua greca, di liceale memoria. In questa tragedia viene narrata in maniera grottesca la storia di Prometeo, uno dei Titani, reo di aver rubato il fuoco a Zeus per donarlo agli uomini. L’ira del re dell’Olimpo lo condannò ad essere incatenato ad una rupe, mentre un’aquila gli divorava perennemente il fegato fra dolori atroci. Prometeo, così, diventa eroe solitario e vittima del tiranno Zeus, che viene identificato con il Potere. Il suo atto di ribellione viene esaltato come simbolo della lotta per il progresso e per la libertà, mentre la pazienza con cui sopporta la sua sorte, trova origine nella consapevolezza che i tiranni di oggi sono inevitabilmente destinati a cadere domani. Valentina Ferrante ha saputo trasformare la tragedia in tragicommedia: infatti vi si colgono molti parallelismi tra il mondo quasi fiabesco in cui era ambientata la mitologia classica e l’attualità dei nostri giorni. “Perché vogliamo ridere dei nostri idoli e dei nostri carnefici che ad una mente illuminata appaiono come abili cabarettisti e al tempo stesso commedianti da quattro soldi." “La commedia è quando un illusionista diverte il popolo, la tragedia è quando diventa il suo capo.” Grazie all’espediente del riso la tragedia si tinge di colori diversi, allegri, meno cupi, più surreali e vicini ai nostri tempi chiassosi dove ogni fatto, anche quello più turpe e indegno, diventa spettacolo”. Bisogna riflettere seriamente su queste frasi, tratte volutamente dalle note di regia: sembrano proprio descrivere certi personaggi che imperversano nel palcoscenico politico italiano! Dalla gigantesca ragnatela che lo tiene intrappolato e si trasforma in una specie di cabarettista, scendendo in mezzo al pubblico e coinvolgendolo, con tanto di musiche che testimoniano molto bene l’avvenuto cambio di atmosfera. Poi, però, qualcosa cambia e l’atmosfera tornerà quella iniziale, fatta di dubbi, di rimorsi di coscienza (quest’ultima allegoricamente rappresentata dall’aquila) e di decisioni tormentate: onestà o tradimento? E il confine tra i due concetti risulta veramente labile, sfumato…. Nel complesso, abbiamo assistito a uno spettacolo interessante, permeato di energia e di pathos, che ha saputo alternare momenti di grande intensità espressiva, a piacevoli spunti di leggerezza; tra l’altro, impreziosendo il testo con battute in dialetto siciliano, che fanno sempre effetto su chi in quella terra ha avuto i natali. Anche l’uso delle maschere risulta in linea con la tradizione classica. Il gruppo “bannedtheatre” è ben assortito: Adriano Aiello, Micaela De Grandi, Valentina Ferrante e Federico Fiorenza ne sono i validi componenti. La regia è firmata dal duo femminile Ferrante/De Grandi, mentre le musiche originali sono state composte da Luca Mauceri. Uno spettacolo da vedere, un esempio di come si possa fare cultura classica in maniera intelligente, adatto non solo agli studenti, ma a tutte le famiglie.
Contrada Femmina Morta. In centinaia di comuni in Italia (e della Sicilia in particolare) esiste almeno una Contrada con tale “topos”. Una storicizzazione e stratificazione nel territorio di eventi violenti e bestiali, che sottendono quasi una ineluttabilità di un fenomeno tremendo, che solo negli ultimi anni diventa argomento di analisi e dibattito. I maschi che uccidono le donne. Valentina Ferrante e Micaela De Grandi riescono brillantemente a produrre uno spettacolo veramente nuovo, su un tema che è un eufemismo definire scottante. Inutile parlare dei rischi elegantemente superati, concentriamoci sul risultato: approfondire e fare teatro, giungendo nel cuore dei sentimenti del pubblico, perforando la corteccia cerebrale e giungendo dentro la bestiale amigdala, centro dei peggiori atavismi che, ben oltre il 2000, ancora ci governano, particolarmente negli atti violenti, prestazioni dove eccellono i maschi. Le scene, i suoni, la narrazione, l’analisi scientifica, diventano un’insieme di stimoli positivi che coinvolgono lo spettatore, mettendolo di fronte alla sua natura bestiale, che tanti non riescono a governare. Difatti le reazioni del pubblico sono tutte prova dell’efficacia del metodo: dal lugubre silenzio al risolino compresso, per poi esplodere nell’applauso liberatorio. Teatro vero che vale cento sedute di analisi (anche grazie dell’apporto di una sessuologia in scena), soprattutto per il grande impatto emotivo che ci offre. Una funzione culturale e sociale che ci rimanda al teatro degli antichi greci, cerimonia sacra. In fondo Valentina e Micaela bene si muovono sulle sacre pietre, non solo con Lysistrata. Le storie dei femminicidi, rappresentati in scena, offrono anche lo spunto per esempi di grande recitazione, che poteva solo essere al femminile: Laura Giordani la madre siciliana che evoca e modula, vocalmente ed emotivamente, il dolore del lutto, alternato alla folle risata devastante; Elisabetta Anfuso, l’araba lapidata, che fa vibrare la sua voce in musica, perché la violenza è frutto dell’intera società, del mondo; Valentina Ferrante la venditrice televisiva del dolore e del delitto, l’esatto opposto del materno amore; Micaela De Grandi la donna in carriera, vittima di sé stessa e materialmente del marito, suo rivale nel ruolo nella società; Giovanna Criscuolo, la moglie che nega l’evidenza, nascondendosi nell’impossibile unità della famiglia, trasformandosi in vera e propria “Carne da Macello”. Spettacolo robusto. Da vedere, da capire, da far girare.
Vestite di nero, con qualche giacca qua e là per simulare l'uomo, il grande assente in tutti i sensi, sette donne, tensione al massimo, raccontano le stragi dei nostri giorni. Le vittime? Sempre le stesse: donne. Una guerra tra sessi che non è finita, che cambia volto, ma fondamentalmente è identica a se stessa. Il potere maschile, affermato a tutti i costi, lavato con il sangue, se occorre. Il tramonto di questo “ potere” è notoriamente inaccettato dall'uomo, fragile e restio a rinnovarsi, perché fondamentalmente solo e impreparato, complice anche la mentalità femminile tradizionalmente e biecamente succube. Il sistema politico e sociale che pubblicamente condanna, segretamente alimenta questa insufficienza, lasciando che l'ignoranza e i pregiudizi prevalgano su una nuova coscienza civile. Occorre conoscere e prevenire. Questo è il percorso che per Altrove indica l'ultimo spettacolo di questa rassegna dello Stabile, dedicato al teatro civile: “Studio per Carne da macello”, scomodo ma emblematicamente energico, senza facile retorica, senza compiacimenti, senza inutili compatimenti, senza risparmiare particolari raccapriccianti, senza scivolare nel luogo comune del Maschio-Bestia. Argomento difficile perché abusato, il femminicidio qui trova una freschezza e una direzione meno obsoleta, grazie ad un testo volenteroso, corroborato dall'interpretazione vigorosa. Scorrono i gesti e le parole. Un treno in corsa. Sulla ribalta del dolore si aprono finestre. Il tempo del racconto si scompone in quadri dai colori decisi, sfolgoranti, sfasatura cercata nel gioco dei contrasti. Dai fondali della vita schegge impazzite galleggiano davanti ai nostri occhi. Tra le cortine chiuse, per pudore o timore, la verità, scucita a forza appare, ineludibile. Il ritmo serrato, la ricerca estetica, semplice ed efficace, la forza delle immagini, dei monologhi e dialoghi serrati, dove le storie trovano una sequenza tragica, intinta di ironia e graffiante sarcasmo, fanno di questo “Studio” un piccolo coltello che può incidere e incrinare la coscienza civile. In berlina un sistema di comunicazione degenerato e fallimentare. I mass media, si sa, si nutrono di nefandezze da sciorinare ai curiosi. Carne da macello, anche da morte, queste donne date in pasto alla cronaca e alle trasmissioni di “approfondimento” vengono offerte alle fantasie malate di chi oscuramente gode di questa esplorazione. In quest'ottica nella mise en scène si innesta il talk show con intervista all'assassino-eroe, sotttolineando sarcasticamente il bieco voyeurismo dello spettatore televisivo ottuso e perverso, alimentato da questa esaltazione, da questa offerta ignobile della miseria e bassezza dell'essere umano. La dissertazione virtuale della sessuologa con le vittime o i parenti, in medias res, offre invece un serio spaccato di riflessione e di conoscenza di un fenomeno che ha radici ben salde nella psiche di tutto il tessuto sociale, spingendo ad approfondire e a non banalizzare il problema. Anche le donne sono condizionate e “complici” dei delitti sacrificali a cui si sottopongono. Meditate gente, meditate... Notevoli le performances delle protagoniste, modulate su registri contrastanti, dalla madre dell'uccisa, alienata e distorta dal dolore, alla donna lapidata, alla moglie bistrattata fino all'eccidio, alla vittima strangolata, appesa ai teli di plastica come un crocifisso... una carrellata fitta e incalzante per una Macelleria in palco, mentre dal buio della memoria affiora l'ombra di Ifigenia.
Nato in co-produzione con il Calatafimi Segesta Festival Dionisiache 2016, “Lysistrata” (di Aristofane), portata in scena ieri sera dalla Compagnia Banned Theatre di Catania è stato un successo di pubblico. Circa mille persone hanno assistito al lavoro di Valentina Ferrante che assieme a Micaela De Grandi, hanno firmato Adattamento e Regia. Scarna, essenziale e di grande effetto la scenografia creata da Michele De Grandi e Simona Ferrante, dove si è sviluppata la vicenda. Sei gli attori in scena: Giovanna Criscuolo, Micaela De Grandi, Valentina Ferrante, Federico Fiorenza, Massimiliano Geraci, Giovanni Rizzuti, che attraverso l’uso delle maschere e accompagnati dalla musica di Luca Mauceri hanno esplorato sulla scena le “vari tipi umani con esilaranti capovolgimenti del genere maschile e femminile”. Un vero trionfo per la Compagnia di Catania, ma soprattutto un successo per il Calatafimi Segesta Festival Dionisiache 2016 e dei Laboratori teatrali, voluti dal sindaco Vito Sciortino e dal Direttore Artistico Nicasio Anzelmo. Laboratori che nel corso del Festival vengono realizzati nella città di Calatafimi Segesta. Laboratori da dove nascono poi gran parte dei lavori teatrali messi in scena al teatro Antico di Segesta.
Dirompente. Dissacrante. Dinamica. Colpisce nel segno la scommessa del fuori rassegna al festival regionale del teatro comico proposta ieri sera a Poggio del sole resort a Ragusa. L’associazione culturale Palco Uno, con la direzione artistica di Maurizio Nicastro, ha voluto mettere in campo un appuntamento con il teatro classico e lo ha fatto coinvolgendo la compagnia catanese Banned Theatre che, dopo l’esordio a Segesta, appena l’altro ieri, ha riproposto sul palco ibleo una propria produzione liberamente adattata da “Lysistrata” di Aristofane. Il sapiente lavoro delle registe Valentina Ferrante e Micaela De Grandi ha consentito di rappresentare uno dei lavori più interessanti ed entusiasmanti del genere, calibrato su un percorso niente affatto semplice su cui cimentarsi. E invece Ferrante e De Grandi ci sono riuscite con una riscrittura sorprendente, attuale, mai noiosa, in grado di intercalare anche parti cantate (il richiamo è al coro di greca memoria) su musiche originali dell’artista di fama nazionale Luca Mauceri. Una vera e propria sorpresa questa “Lysistrata” perché ha affrontato un tema universale, quale quello della guerra, senza banalizzarlo, in modo leggero, sorridente, con spunti di riflessione molto profondi e con qualche ricaduta piccante ma mai volgare che ha divertito il pubblico presente. “La nostra compagnia – chiarisce Ferrante – si è preposta di lavorare su temi attuali, attualizzando gli spettacoli, anche quelli più classici, come in questo caso. Lo spunto tratto dalla commedia di Aristofane era il più adatto per parlare del quotidiano, così come per la parabasi, che è stata completamente riscritta da me, in cui si ha una visione del futuro, nonostante ci sia questa commistione tra l’antica Grecia e il giorno d’oggi”. Aggiunge De Grandi: “La nostra compagnia, sin dall’inizio, aveva come obiettivo l’utilizzazione di testi poco rappresentati, rielaborandoli, adattandoli ai tempi attuali. Le canzoni ci sono servite proprio come i cori greci, per dare più respiro alla rappresentazione”. E il risultato finale è stato di grande spessore tanto è vero che gli spettatori, al termine, hanno applaudito per parecchi minuti in maniera convinta. Insomma, è stato un fuori rassegna tutto da gustare, come conferma lo stesso Nicastro. “Ho visto all’opera – sottolinea – una compagnia sì di giovani ma dalle grandi qualità. Sono certo che sentiremo ancora parlare di Banned Theatre che, qui a Ragusa, ha saputo dimostrare tutta la propria valenza”. La prefazione allo spettacolo è stata curata dal prof. Ciccio Schembari che ha analizzato gli aspetti dell’opera di Aristofane. La commedia è stata interpretata da Giovanna Criscuolo, Micaela De Grandi, Valentina Ferrante, Federico Fiorenza, Massimiliano Geraci e Giovanni Rizzuti. La trama? Il sesso fa muovere il mondo. Lysistrata lo sa, ne è convinta e mette in atto uno stratagemma creativo e surreale: tutte le donne greche dovranno astenersi dall’avere rapporti sessuali con i mariti finché la guerra del Peloponneso non sarà cessata. Quello proposto, insomma, è stato un divertente adattamento della famosa commedia classica che affronta con impegno il tema attualissimo ed universale della guerra.
LE NUVOLE
TEATRO ANTICO DI SEGESTA: LE NUVOLE INCANTANO IL PUBBLICO
Una rivisitazione coraggiosa, un adattamento moderno che parla con il passato che non passa, sempre attuale, sempre autentico, sempre profondamente reale. Aristofane scrisse commedie che parlano di potere politico, di governo delle masse e “le nuvole” andate in scena ieri sera al Teatro Antico di Segesta, con la regia di Valentina Ferrante e Micaela De grandi interpretate da Giovanna Criscuolo, Micaela De grandi, Valentina ferrante, Federico Fiorenza, Massimiliano geraci, Giovanni Rizzuti, sono terribilmente moderne. L’uomo smarrito , come sempre nella storia dell’umanità, cerca risposte, oracoli, capacità retorica per ingannare il prossimo e intanto la terra è ridotta un immondezzaio e il tanto venerato “sapere ” interpretato da un Socrate borderline, è finito proprio dentro un cassonetto della spazzatura. I discorsi del filosofo “giusti” verranno bruciati sull’altare dei discorsi “ingiusti” ma più redditizi. Il potere adesso è stato rappresentato mirabilmente dai media, da facebook, dai follower, dalla ricerca dei “like”.